Il Pelargonium sidoides è una particolare varietà di geranio (appartiene infatti alla famiglia botanica delle Geraniaceae) che cresce nelle regioni sud-orientali del Sudafrica; proprio per questa origine viene talvolta identificato come Geranio africano.
È una pianta erbacea perenne che cresce prevalentemente su terreni pietrosi e può raggiungere i 50 cm di altezza. Presenta delle foglie di colore grigio-verde dalla caratteristica forma a cuore. I fiori sono costituiti da cinque petali stretti e prolungati, di colore rosso-porpora tendente al nero-violaceo, e da uno stelo molto allungato, a cui è riferito il nome del genere botanico Pelargonium. Infatti, il termine greco pelargos, da cui esso deriva, significa “cicogna”, con riferimento al fiore della pianta che per questa particolare conformazione assomiglia appunto al becco di tali volatili.
Nonostante il fascino di questi caratteristici fiori, la parte più interessante della pianta è quella sotterranea, che non vediamo: sono proprio le radici, infatti, che contengono i numerosi principi attivi responsabili delle attività biologiche del P. sidoides. Le radici inizialmente molto chiare tendono a scurirsi col passare del tempo, e vengono raccolte a mano dopo il terzo anno di vita della pianta in modo da ottenere la piena valorizzazione fitochimica dell’estratto.
Storia e tradizioni
Le virtù benefiche della porzione sotterranea del P. sidoides sono state scoperte fin dai tempi più antichi, tanto che lo ritroviamo all’interno della medicina tradizionale di diversi gruppi etnici sudafricani per le sue proprietà curative.
Ricerche etnobotaniche ne hanno confermato l’utilizzo in Sudafrica da parte delle tribù Zulu, Bantu e Xhosa per curare diverse patologie, come malattie respiratorie, disfunzioni gastrointestinali e disturbi mestruali. Gli indigeni lo definiscono con un termine che nella lingua Zulu significa “per i disturbi ai polmoni e per il dolore al petto”.
L’interesse a livello mondiale verso il Pelargonium sidoides è cresciuto dagli inizi del 1900, dopo che lo studioso inglese Charles Henry Stevens fece un viaggio proprio in Sudafrica per tentare di curarsi dalla tubercolosi: qui seguì i dettami di uno sciamano Zulu, che gli consigliò di assumere due volte al giorno il decotto delle radici della pianta. Una volta guarito completamente, Stevens rientrò in Inghilterra e cominciò a promuovere l’utilizzo del P. sidoides come medicinale contro la tubercolosi, ottenendo grandi risultati.
Tra la fine del secolo scorso e gli anni più recenti, l’interesse verso questa pianta è cresciuto sempre più, tanto che sono stati condotti numerosi studi preclinici e clinici per valutarne l’efficacia nel raffreddore e nelle affezioni delle vie respiratorie, conseguendo buoni riscontri. L’estratto delle radici del geranio africano è stato distribuito inizialmente in Germania nelle farmacie, soddisfacendo tutti i criteri di qualità e sicurezza; oggi anche nel nostro paese è presente in commercio una nota specialità medicinale a base dell’estratto di Pelargonium sidoides.
Proprietà terapeutiche
Le radici del Pelargonium sidoides sono una fonte di molecole organiche di vario genere che conferiscono alla pianta le sue apprezzabili proprietà benefiche per la nostra salute.
Oltre a carboidrati, proteine, vitamine e minerali, la classe più importante di composti bioattivi delle radici è costituita dai polifenoli: si tratta di macromolecole differenti tra cui troviamo flavonoidi, acidi fenolici, cumarine ossigenate, proantocianidine, catechine, etc. Grazie a questa composizione, il fitocomplesso del geranio africano esplica attività antibatterica e antivirale, fluidificante del muco ed immunostimolante.
In particolare, l’estratto delle radici combatte le infezioni virali impedendo la penetrazione del virus all’interno delle cellule umane, o qualora queste fossero già infettate, ostacola la replicazione del microrganismo; l’azione antibatterica è mediata da alcuni composti fenolici del fitocomplesso e dalla produzione di sostanze tossiche per i batteri.
L’acido gallico, uno dei principali componenti bioattivi della radice, è tra i principali mediatori dell’effetto immunostimolante, grazie alla propria capacità di attivare alcune cellule del sistema immunitario nei confronti delle potenziali aggressioni esterne da parte dei microbi; infine, il P. sidoides svolge un’azione simil-espettorante, in quanto rende il muco più fluido e perciò più facile da eliminare tramite i meccanismi fisiologici dell’apparato respiratorio.
Tutte queste caratteristiche rendono il Pelargonium sidoides un ottimo alleato per combattere i sintomi tipici delle malattie da raffreddamento: trova utilizzo nel trattamento del raffreddore comune, della tosse, della rinosinusite, della faringite (ovvero, il comune mal di gola), della bronchite, etc. I recenti studi clinici e le revisioni della letteratura scientifica ne confermano l’efficacia, sia negli adulti che nei bambini, ed evidenziano un’ottima tollerabilità, con effetti collaterali rari ed essenzialmente ridotti a lievi disturbi gastrointestinali (nausea, diarrea, fastidio gastrico).
Un’ultima interessante informazione riguarda le possibili interazioni con altri farmaci: talvolta, infatti, le piante medicinali per il loro contenuto di composti bioattivi possono interferire negativamente con altre terapie in corso; in questo caso invece si tratta di un’interazione positiva! Infatti, le attività biologiche che possiede il geranio africano consentono di utilizzarlo anche in aggiunta a farmaci convenzionalmente impiegati in caso di bronchite o altre malattie respiratorie (come mucolitici, antibiotici, antiinfiammatori…), poiché si instaura una sinergia d’azione con tali farmaci. Di conseguenza, l’effetto della terapia combinata risulta migliore delle singole azioni prese separatamente, e la sintomatologia si risolve molto più rapidamente.
Storia e leggenda
L’uva e il vino vantano una storia millenaria, basti pensare che diversi studiosi ritengono probabile che la produzione del vino sia iniziata addirittura in epoche preistoriche, verso la fine del neolitico, in seguito ad una casuale fermentazione di uva di viti spontanee conservata in alcuni recipienti.
Nella civiltà dell’antica Grecia, la coltivazione della vite aveva raggiunto una notevole importanza, testimoniata dall’esistenza di numerose varietà di vite e di precise pratiche di vendemmia e di vinificazione. Presso gli Etruschi la coltivazione della vite raggiunse un notevole progresso, favorito anche da conoscenze tecniche avanzate e dai vasti rapporti commerciali di questo popolo, che permettevano di reperire nuovi materiali, prodotti e conoscenze.
I Romani appresero le tecniche vitivinicole fino dall’epoca dei primi re, proprio grazie ai rapporti intrapresi col popolo etrusco. La viticoltura si sviluppò enormemente nell’antica Roma, tanto che l’uva veniva definita il Frutto degli Dei (e anche oggigiorno spesso viene adottata questa dicitura): il vino era consumato frequentemente, veniva venduto anche in locali pubblici, esportato in tutti i territori dell’impero. Il patrimonio varietale era rilevante, suddiviso in vitigni da tavola e da vino, quest’ultimi distinti in tre classi a seconda della qualità del vino ottenibile.
In queste antiche civiltà l’uva, e ancor di più il vino, avevano un’importanza tale da essere venerati tramite l’istituzione di divinità specifiche: per gli Egizi c’era il Dio Osiride, per i Greci Dioniso, per i Romani Bacco. Nella cultura di questi popoli, l’uva ha origine divina e viene generosamente donata all’uomo dagli Dei per poter godere della sua bontà e del vino che ne deriva. Nelle città dell’antica Grecia, al termine delle cene presso le case di signori aristocratici seguiva il simposio: era il momento di indulgere al vino, secondo il detto O bevi o vai via, accompagnato da musica, giochi e conversazioni su questioni umane e divine. Il vino all’epoca degli antichi Romani era presente in ogni banchetto, per lo più diluito con acqua calda o fredda, secondo i gusti e la stagione. Si brindava alla salute di un amico, di una persona importante, della donna amata, per onorare un defunto, una divinità, o semplicemente per un buon auspicio per il futuro. L’uva è un frutto ricolmo di simboli e significati importanti anche nel Cristianesimo: nella Bibbia, la vite è il simbolo della vita stessa ed è sinonimo di abbondanza, prosperità, fertilità, fede, saggezza, mentre il vino viene associato al sangue di Cristo.